Fausto Luzi vive a Porto San Giorgio, lungo il litorale
adriatico, particolarmente cara ad Osvaldo Licini che vi
veniva ad attendere gli amici per condurli alla sua Monte
Vidon Corrado, e che in più occasioni, nel terzo decennio,
vi si soffermava a delinearne la spiaggia ancora solitaria,
il giuoco dei verdi delle piante e delle propaggini
collinari.
Pittore non ufficiale, colto inquieto e riservato, attento
agli accadimenti del nostro tempo, dopo le prime creazioni
che Marco Valsecchi aveva considerato degne di plauso, si è
volto verso una ricerca complessa che si è andata
concretando su una capillare disamina del lucidus ordo
dell'esprit de geometrie e sull'ideale fantastico surreale
della "bella irrealtà" cara a Licini.
Memore di quanto ha scritto Platone nel filebo, registrando
un pensiero di Socrate: "Per bellezza della forma non
intendo ora quella che la maggior parte della gente
immagina a questo proposito, la bellezza degli esseri
viventi o dei dipinti: io intendo ciò che è dritto e
circolare ed anche le superfici e i corpi che si ottengono
con il compasso, con la riga e la squadra, se ben
comprendi. Questi, io dico, non si riferiscono a qualche
altra cosa di bello come le rimanenti cose, ma sono eterni,
esistono in sé e sono belli per la loro stessa natura",
compenetrando Max Bill, le lezioni di Klee, Licini, del
primo Max Ernst, meditando sulla dottrina dei colori di
Goethe, e dimostrando una spiccata preferenza per
l'azzurro, che come rimarca il genio di Weimar: "Fa
all'occhio un effetto strano e quasi inesprimibile. Come
colore è energia ma essa sta sul lato negativo ed è nella
stessa massima purezza, per così dire, un niente
provocante, ed un contraddittorio di eccitamento e di
quiete. Così come vediamo azzurri l'alto cielo e le
montagne lontane, così un piano azzurro sembra ritirarsi da
noi.
Così come inseguiamo volentieri un oggetto piacevole che
fugge davanti a noi, guardiamo con piacere l'azzurro non
perché si impone ma perché ci attira", Luzi è andato
elaborando le tele di questi ultimi anni, generalmente di
piccolo formato, raccolte e contenute, condotte con
particolare rigore di esecuzione. Ad una impaginazione
razionale e commista una libertà fantastica di visione.
Parvenze di esseri misteriosi, evocazioni di terre
inesplorate, di animali preistorici, di forme strutturate a
ritmi e incastri o in moti rotatori che si svolgono
quietamente e si interrompono, apparecchiature sofisticate,
si accompagnano a vivide astrazioni, a pianeti che si
librano con imponderabile leggerezza o che impongono
saldamente la loro presenza contro quinte di mare e di
cieli infiniti.
Luzi soffermandosi a delineare instancabilmente i suoi
cieli, non dimentica quanto ha scritto Gerhard Schneider,
un artista di vaglia, di recente riproposto all'attenzione
della critica: "Quando nella mia mano passò l'ombra dei
cieli, io la vidi ampliarsi alle rive del tempo", e come
Schneider e come Licini ci invita a ex-cursus ultraterreni,
verso orizzonti misteriosi.
All'argomentare allarmante, denso spesso di implicazioni
drammatiche, si accompagnano limpide evocazioni
contraddistinte da sreni stati di grazia. Aperto a echi e
memorie, il suo mondo si evidenzia in un ordine mentale e
lirico insieme, rispecchiando il suo legame ad una
immutabile verità.
Luigi Dania, 1987